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Ferrante: "Rinnovabili azzoppate per favorire fossili"

27/11/2013

 
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Il fondatore del movimento Green Italia sull'approvazione della Legge di stabilità: "In tutto il mondo si va verso il futuro e le rinnovabili, in Italia, il Governo si pone ostinatamente sulla strada opposta"

“Ieri il Governo delle larghe piccole intese, di minoranza nel Paese ma in maggioranza nelle aule parlamentari solo grazie al Porcellum,  ha ottenuto la fiducia su una pessima legge di stabilità che al suo interno ha anche il ‘capolavoro’ per cui si tolgono soldi alle rinnovabili per darli alle fonti fossili. Questo succede grazie a un comma (che sembra dettato dall'Autorithy per l'energia elettrica, alla faccia della separazione tra Governo, Parlamento e l’autorità che dovrebbe essere terza) per cui si affronta il reale problema del capacity payment indicando nelle rinnovabili il settore da colpire”. E' il commento dell’esponente di Green Italia Francesco Ferrante, all'approvazione della Legge di stabilità che conterrebbe un comma per dedicare ulteriori sussidi alle fonti fossili inquinanti.

“Il comma in questione  – ha aggiunto Ferrante -  è un obbrobrio anche perchè non è indicata alcuna cifra. Se è vero che per il capacity payment servirebbero 500 milioni, diamo noi un suggerimento al governo e alla Camera dove speriamo ci sia un sussulto di saggezza, per trovarne immediatamente la metà senza ammazzare il futuro: ci sono 250 milioni l'anno che ancora si continuano a regalare alle centrali a olio combustibile. Ma se poi si aggiunge che ieri, sotto gli auspici del premier Letta,  l'Eni ha firmato con i russi un accordo per trivellare il Mediterraneo è inevitabile l’amara constatazione  che questo è un governo fossile di cui si farebbe davvero a meno molto volentieri”.

FONTE: zeroemission.tv

Sardegna, Pecoraro Scanio: "Su allarme clima sei anni di ritardo"

20/11/2013

 
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Sedici morti in 24 ore, un numero imprecisato di dispersi, tra il 18 e il 19 novembre, è caduta tanta pioggia quanto in sei mesi, con raffiche di vento fino a 100 km all'ora. E' il bilancio, temporaneo, del ciclone che ha colpito la Sardegna e che ha sferzato duramente soprattutto le aree della Gallura, dell’Ogliastra, dell’Oristanese e del Medio Campidano. Una tragedia che, secondo molti, non sarebbe qualcosa di inatteso. In prima linea, Alfonso Pecoraro Scanio, Presdiente della Fondazione Univerde ed ex-ministro dell'ambiente, che, nel 2007, lanciò l'allarme sui rischi crescenti dovuti ai fenomeni meteo estremi. "Si tratta di sei anni di colpevole ritardo - accusa Pecoraro Scanio - la gravità di questi anni persi potrà essere confermata dal climatologo Vincenzo Ferrara, che, nel 2007, quando alcuni irresponsabili accusarono me e la Conferenza governativa sui cambiamenti climatici di catastrofismo, era il focal point dell'IPCC/ONU  in Italia, a cui affidai il coordinamento scientifico della conferenza nazionale sui cambiamenti climatici del settembre 2007 e che lanciò l'allarme per l'intensificazione dei fenomeni meteorologici estremi e la necessità di un piano nazionale di adattamento, quindi di prevenzione delle conseguenze negative e dei  maggiori danni prevedibili in relazioni  al cambiamento climatico in atto".

"Il mio progetto - continua Pecoraro Scanio - fu bloccato ed il governo successivo quasi azzerò  anche i fondi che ero riuscito a far stanziare contro il dissesto idrogeologico e che consentirono di aprire circa mille cantieri per la difesa del suolo. Solo a fine ottobre, su pressioni della Ue, è stata presentata la bozza del piano nazionale di adattamento ora in consultazione. Serve approvare subito il piano ma soprattutto togliere risorse alle mega opere inutili e destinarle alla messa in sicurezza del territorio, altrimenti le proposte resteranno lettera morta".

FONTE: zeroemission.tv

Summit di Varsavia: le posizioni delle nazioni su clima e CO2

18/11/2013

 
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Il summit di Varsavia, un incontro organizzato dall’ONU per cercare di conciliare le varie posizioni dei Paesi mondiali sul tema della riduzione dell’inquinamento e dello sfruttamento delle risorse, entra oggi nel vivo.

Iniziato l’11 novembre scorso, mai come quest’anno il summit COP diventa decisivo per il futuro dell’ambiente mondiale. Soprattutto viste le posizioni che sembrano sempre più inconciliabili tra le nazioni che vogliono fare la loro parte e quelle che invece non ne vogliono sapere, giustificandosi con la crisi economica che non consente limitazioni al mercato. Queste le posizioni al momento:

  • Europa: La posizione europea è come sempre la più conciliante. Connie Hedegaard, Commissario Europeo per il Clima, chiede unità a tutti i Paesi nonostante la difficile situazione economica, per confermare gli impegni presi sul taglio delle emissioni della CO2 e magari anche migliorando gli impegni. La richiesta che i principali attori in questione fanno è di prendere impegni precedenti al 2020, ma già entro il 2015, puntando su risparmio energetico, rinnovabili, eliminazione degli HFC (gas fluorurati), modifica dei sussidi alle fonti fossili e nuovi limiti alle emissioni del settore trasporti.
  • Stati Uniti: Gli States continuano con la loro teoria di non intervento sul mercato. Non vogliono porre limiti troppo stringenti alle emissioni, pur riconoscendo l’importanza di questa finalità. Per questo promuovono la ricerca sul cosiddetto carbone pulito e sui sistemi di recupero e stoccaggio della CO2. Continua inoltre la politica dello shale gas che Obama non sembra intenzionato ad abbandonare. La road map futura prevede di mandare in “pensione” le centrali più vecchie e sostituirle con quelle più efficienti. L’unico obiettivo posto al 2015 è la chiusura di 205 centrali a carbone obsolete.
  • Cina: La posizione della Cina è molto vicina a quella degli Stati Uniti, con la differenza che, al posto dello shale gas, si punta maggiormente su rinnovabili e nucleare. Il carbone resta però centrale. L’idea del governo cinese è di aprire 3 centrali al mese da qui al 2022. Dopo il 2015 però il piano energetico quinquennale potrebbe essere rivisto.
  • India: L’India non vuol sentire nemmeno nominare le limitazioni alle emissioni. Anzi, nonostante siano stati avviati importanti progetti in particolare sul solare, il suo futuro sarà basato sul carbone, tanto che, secondo le previsioni, nel giro di pochi anni diventerà il secondo Paese importatore al mondo.
  • Giappone: Dopo il disastro di Fukushima il Paese nipponico rivede al ribasso le sue previsioni. Visto che sta facendo a meno del nucleare, che da solo copriva il 30% del fabbisogno energetico nazionale, il dover attingere a petrolio e carbone per garantire elettricità alla sua popolazione costringe il Governo giapponese ad abbassare i limiti alle emissioni. Entro il 2020 porrà il limite ad appena il 3,8% rispetto all’anno 2005 (la richiesta iniziale era il 20% rispetto al 1990). Praticamente l’apporto alla causa sarebbe nullo.
  • Australia: Nemmeno l’Australia ha intenzione di porre limiti alle emissioni. Punterà su un mix di rinnovabili e carbone, ma il Governo ha annunciato di voler abrogare la carbon tax.
  • Agenzia internazionale dell’energia (IEA): Oltre alle nazioni ci sono anche gli organismi internazionali da considerare. La IEA si oppone alla limitazione dei combustibili fossili e in particolare proprio sul carbone, in quanto è convinta che la richiesta in tutto il mondo di questo combustibile sia destinata a salire almeno fino al 2035. Con tutte le emissioni che ciò comporta. Anche se è favorevole allo sviluppo delle rinnovabili, la IEA continua ad appoggiare il mercato dei fossili. Semmai l’impegno si deve spostare, secondo l’agenzia, sui metodi di produzione dell’energia attraverso il carbone che, se fossero più efficienti, ridurrebbero ugualmente le emissioni.

A poco serviranno gli appelli degli scienziati che dimostreranno come stiamo sforando il tetto dell’innalzamento della temperatura di 2 gradi e che, di questo passo, il riscaldamento globale sarà catastrofico. L’unico punto su cui quasi tutte le nazioni concordano è di investire in tecnologie meno inquinanti.
Di porre limiti alle emissioni non se ne parla nemmeno. Dopotutto il fatto che ci saranno il 30% di Ministri dell’Ambiente in meno rispetto agli altri meeting del passato (65 membri in meno rispetto a Doha) la dice lunga sulla posizione di molti Paesi sui temi ambientali.

FONTE: greenstyle.it

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